LE ARGONAUTICHE
Gli Argonauti e il vello d'oro
Le Argonautiche sono le avventure degli Argonauti, cioè i marinai della nave Argo, capitanati da Giasone. Il loro compito è riportare il vello d’oro in Grecia. Ma cos’è questo agognato vello d’oro? Il vello d’oro è il manto dorato di un ariete che salvò Frisso prima che fosse ingiustamente sacrificato a Zeus. L’Ariete fu inviato in soccorso da Nefele (Nuvola), madre di Frisso, e il colore d’oro del manto è opera di Ermes. Il montone prese sulla groppa Frisso e sua sorella Elle ma la fanciulla purtroppo cadde mentre stavano sorvolando lo stretto che da allora prese il nome Ellesponto (oggi corrisponde allo Stretto di Dardanelli). Frisso arrivò sano e salvo in Colchide (nell’odierna Georgia) e qui l’ariete si spogliò del suo manto e si offrì in sacrificio per poi volare tra le stelle nella costellazione dell’Ariete. Frisso fu accolto dal re Eeta e il vello d’oro fu appeso nel bosco di Ares, custodito da un drago gigantesco che non dorme mai.
Perché Giasone deve recuperare il vello d'oro?
Ci troviamo a Iolco, in Tessaglia, dove il re Pelia ha organizzato un banchetto in onore di Poseidone (suo padre) e degli Dei. Si è però dimenticato della Dea Era, che se la lega al dito. Al banchetto arriva anche il nipote del re, Giasone; ha un solo sandalo perché l’altro l’ha perso nelle acque fangose del fiume Anauro. A Pelia viene un colpo perché anni prima gli era stato profetizzato che “un uomo con un solo sandalo” lo avrebbe ucciso. Subito escogita un piano per liberarsi di Giasone e lo incarica di andare in Colchide a recuperare il vello d’oro, sperando che perda la vita nel difficilissimo viaggio. La Dea Era sarà una delle protettrici più accanite delle Argonautiche e dell’eroe, perché sa che al suo rientro a Iolco è prevista la morte di Pelia.
Gli Argonauti, gli eroi delle Argonautiche
Sebbene Giasone non comprenda il motivo della spedizione, inizia a progettare il viaggio, chiedendo aiuto ad Argo. Con il supporto nientemeno che di Atena, Argo costruisce la nave che da lui prende il nome, che Apollonio Rodio classifica come la migliore in assoluto, mentre secondo altri poeti era la prima nave mai costruita. La nave Argo salperà con uno stuolo di circa cinquanta eroi che arrivano da tutta la Grecia: gli Argonauti. Tra gli eroi più famosi che prendono parte alla ricerca del vello d’oro abbiamo: Eracle, che ha appena terminato la sua quarta fatica, i Dioscuri Castore e Polluce, Ida e Linceo, Meleagro, Zete e Calais (figli di Borea, il vento del Nord), Orfeo, lo stesso Argo, Peleo e Telamone. Spicca invece l’assenza di Atalanta e di Teseo, che in quel momento era imprigionato nell’Ade (per aver tentato di rapire Persefone con l’amico Piritoo). Secondo altri poeti è invece presente nelle Argonautiche. Radunati gli eroi nel porto, Giasone propone di scegliere il capo della spedizione. Tutti guardano e indicano Eracle, che però rifiuta poiché ritiene più giusto che venga eletto Giasone stesso.

Il varo di Argo
Eletto il capo, gli Argonauti scavano il percorso per il varo della nave nella sabbia e dispongono dei tronchi. All’ordine di Tifi, il timoniere, tutti insieme spingono la nave Argo, che scivolando sui tronchi entra nelle acque. La legano alla spiaggia e portano tutte le provviste a bordo. Poi sulla riva costruiscono un altare ad Apollo per allestire un sacrificio e pranzare. Invocato Apollo, Idmone, che è suo figlio ed è un indovino, assicura agli Argonauti che torneranno a casa, ma lui non ce la farà. L’indomani mattina, all’apparire di Eos (l’Aurora) gli eroi finalmente lasciano il porto di Pagase, tra preoccupazioni e benedizioni dei concittadini di Giasone e un grido di incitazione di una trave di Argo. Questa trave l’ha recuperata Atena da una quercia di Dodona e ogni tanto fa venire un mezzo infarto agli Argonauti perché parla. Dal monte Pelio scende anche Chirone per portare buon augurio agli eroi e sua moglie ha in braccio Achille, figlio di Peleo, ancora piccolo.
mappa de "le Argonautiche" di Apollonio Rodio

Le Argonautiche: viaggio di andata

Prima tappa: l'isola di Lemno
Dopo una sosta per maltempo presso la tomba di Dolope, gli Argonauti giungono sull’isola di Lemno. Qui non ci sono uomini: siccome si dimenticavano di rendere i giusti onori ad Afrodite, la dea li spinse a tradire le mogli con delle schiave. Le mogli poi uccisero mariti e schiave, perciò ora a Lemno ci sono solo donne. Secondo un’altra versione del mito, gli uomini sono scappati perché Afrodite ha fatto in modo che le donne emanino un odore cattivo. Le donne di Lemno, appena intravedono Argo, corrono alle armi, temendo un assalto dei Traci. Gli Argonauti inviano un messaggero, Etalide (figlio di Ermes), a chiedere ospitalità alla regina Issipile, poiché non possono ripartire per il vento sfavorevole. Issipile convoca un’assemblea con le cittadine: vuole inviare dei doni e permettere agli Argonauti di sostare nel porto senza farli entrare in città, per non rischiare che si sappia il loro segreto.
Ma la vecchia Polisso propone invece di accogliere i viaggiatori e farli sposare con le donne. E’ una “soluzione” al futuro delle giovani di Lemno, destinate a restare sempre più sole, soggette agli attacchi dei Traci, fino all’estinzione. In altre versioni l’unione sessuale tra gli Argonauti e le donne è condizione assoluta perché gli eroi siano ospitati. Giasone viene scortato al cospetto della regina Issipile, che gli racconta una mezza verità: a Lemno non ci sono uomini perché tutti avevano tradito le mogli e creato stirpi di figli bastardi; poi, radunati tutti i figli maschi, se ne erano andati in Tracia a coltivare terre. Quindi Issipile invita Giasone e i suoi a restare per sempre e gli propone di sposarsi, promettendogli il trono.
Giasone già anticipa che non potranno accettare ma promette di riferire la questione ai compagni e di accettare l’ospitalità finché non possono rimettersi in viaggio. Ma gli Argonauti si distraggono dai piaceri di Lemno; tutti hanno una donna con cui festeggiare 😜 e divertirsi. Tutti tranne Eracle, che resta spontaneamente a guardia della nave Argo. Gli eroi però continuano a rimandare la partenza, così Eracle li richiama al dovere rimproverandoli. Si preparano a ripartire e le donne accorrono a salutarli tristemente; Issipile promette a Giasone che, se avranno un figlio, lo manderà a Iolco.
Seconda tappa: Cizico e i Dolioni
Argo lascia l’isola di Lemno e dopo una breve sosta all’isola di Elettra (Samotracia) per ingraziarsi Atlante, proseguono per la seconda tappa: l’isola Monte degli Orsi (Arctonneso), una penisola nella Propontide (attuale mar di Marmara) legata da un lembo di terra alla Frigia. Questa “isola” è abitata da esseri violenti con sei braccia, figli della Terra. Sull’istmo invece vivono i Dolioni, uomini su cui governa Cizico, che porta lo stesso nome della città. I Dolioni e Cizico accolgono ben volentieri gli Argonauti, fornendogli anche il necessario per allestire un sacrificio ad Apollo, al quale partecipano tutti in amicizia. Poi gli eroi scalano un monte per esplorare le rotte dalla vetta ed Eracle si accorge di un attacco dei giganti dalle sei braccia. I giganti sono stati addestrati da Era proprio in vista di questa occasione (uno dei tanti tentativi di fare fuori Eracle). Ma l'eroe li stermina tutti, uno dopo l’altro.
Gli Argonauti lasciano Cizico ma un vento contrario improvvisamente li riporta indietro nel pieno della notte. Non si rendono conto di essere tornati a Cizico e i Dolioni non li riconoscono, anzi credono di essere sotto attacco e tra i due gruppi scoppia una feroce battaglia. Giasone combatte nel buio, ignaro, contro Cizico e lo uccide. All’alba si accorgono del tremendo errore e alla vista di Cizico disteso nella sabbia e nel sangue, a tutti prende una angosciosa disperazione, specialmente alla recente sposa di Cizico, Clite, che si suicida. Argonauti e Dolioni rendono gli omaggi al re con i dovuti riti funebri e le ninfe piangono incessantemente Clite; dalle loro lacrime nasce una sorgente: la Fonte Clite. Per 12 giorni gli argonauti sono impossibilitati a partire per via delle tempeste, finché Mopso nota un alcione (segno di buon tempo) che si posa vicino Giasone e subito vola via.
Mopso interpreta il segno divino: la Madre Rea è irata per l’uccisione di Cizico e va placata. Giasone raduna alcuni uomini con cui andare in cima al monte Dindimo, dove innalzano un altare alla Dea Rea e intagliano un suo simulacro in un tronco, poi celebrano il dovuto rito. La Dea ascolta: fiori e frutti spuntano tutt’intono e sgorga una nuova fonte di acqua: la fonte di Giasone. Le tempeste si calmano e il mattino seguente gli Argonauti possono finalmente lasciare Cizico. I venti sono calati del tutto e devono andare avanti a remi e tra i marinai nasce una sfida a chi rema di più. La nave vola sulle acque ma a un certo punto si rialzano i venti e nessuno ce la fa più contro l’impeto del mare. Ma Eracle continua e senza neanche accorgersene spinge la nave da solo, finendo addirittura per spezzare un remo.
Terza tappa: la Misia
L'abbandono di Eracle
Gli Argonauti arrivano stremati in terra Cianide, nella Misia, dove vengono ben accolti dai Misi e insieme a loro preparano un sacrificio ad Apollo. Eracle si inoltra nella foresta per andarsi a fabbricare un nuovo remo e con le mani sradica dal terreno un tronco, poi torna alla nave. Nel frattempo Ila, scudiero e amante di Eracle, si è allontanato dai compagni per andare a cercare dell’acqua; arriva ad una sorgente, dove si stanno radunando delle ninfe. Una di loro emerge dalla fonte proprio nel momento in cui Ila cala la brocca e resta folgorata dalla sua bellezza; se ne innamora all’istante e, senza pensarci due volte, gli cinge un braccio intorno al collo e lo trascina con sé sul fondo della sorgente. Ila lancia un grido e lo sente solo Polifemo (non il Ciclope, ma il figlio di Elato) che subito corre in suo soccorso, ma non lo trova.
Polifemo riporta la notizia ad Eracle, in preda alla disperazione. Eracle suda, si arrabbia e in preda al furore, inizia a correre incessantemente; ed in questo modo abbandona le Argonautiche, quasi dimenticando l’impresa. Gli altri Argonauti nel frattempo sono partiti in fretta perché improvvisamente si è alzato un vento favorevole e solo dopo un bel po’ si rendono conto di aver lasciato Eracle, Ila e Polifemo a terra. Giasone si incupisce e non parla, mentre tra gli altri scoppia un’accesa discussione. Telamone punta il dito contro Giasone, asserendo che ha voluto abbandonare Eracle di proposito per paura che la sua gloria venisse oscurata. Poi minaccia Tifi, il timoniere, imponendogli di invertire la rotta per andare a recuperare Eracle, ma Zete e Calais, i figli di Borea, lo zittiscono. A placare definitivamente gli animi arriva Glauco, che spunta dalle onde e si appende alla prua.
Glauco tranquillizza gli Argonauti, rivelando che per Eracle non era destino continuare le Argonautiche, perché doveva riprendere le sue fatiche (aveva appena concluso la quarta quando si è unito ai marinai) e alla fine di queste imprese lo aspetta l’apoteosi. Quanto a Polifemo, fonderà una città in Misia: Chìo. Poi racconta che Ila è stato rapito da una ninfa innamorata e che ora è il suo sposo. I marinai si calmano e Telamone si scusa con Giasone, il quale tuttavia apprezza che a bordo ci sia qualcuno pronto a battersi per gli amici. Gli eroi proseguono la navigazione, diretti verso la prossima sosta: il regno dei Bebrici.
Quarta tappa: il paese dei Bebrici
Gli Argonauti approdano nel paese dei Bebrici, dove regna Àmico, figlio di Poseidone alquanto arrogante e malvagio; infatti ha stabilito una regola: che nessuno può passare dal suo regno e andarsene senza aver lottato a pugilato con lui. Con questa “scusa” ha ucciso moltissimi passanti. Gli eroi vengono “accolti” da Àmico che, senza neanche interessarsi di chi siano, li minaccia e pretende che scelgano un campione che lo sfidi. Si fa avanti Polluce, figlio di Zeus e Leda, già innervosito dall’atteggiamento di questo buffone. I due prendono posto sulla spiaggia e il resto degli Argonauti e dei Bebrici si dispongono in cerchio intorno a loro. Mentre lo splendente Polluce si prepara e si scalda, il grottesco Àmico lo provoca e lo schernisce.
Inizia il combattimento: Àmico colpisce violentemente e schiva, mentre Polluce schiva, colpisce e studia il nemico. Dopo una breve pausa, ripartono stremati ma ancora più accaniti. Àmico sferra un colpo potente a Polluce, che lo schiva e prontamente risponde, colpendo l’avversario alla testa. Il re dei Bebrici cade a terra senza vita e subito i suoi uomini corrono alle armi e attaccano i marinai. Ma gli eroi hanno la meglio e i Bebrici fuggono tra il popolo. Gli Argonauti passano la notte sulla spiaggia e, al mattino seguente, ripartono diretti verso il Bosforo e il mar Nero.
Quinta tappa: Fineo
Il tormento delle Arpie
Arrivati nel Bosforo, Tifi, il pilota, riesce magistralmente a domare le impervie onde ma a causa dei venti etesi, sono costretti ad approdare. Qui abita Fineo, un indovino che in passato ha rivelato troppe informazioni sugli Dei ed è stato condannato da Zeus alla cecità e ad una lunghissima vita tormentata dalle Arpie, che gli rubano continuamente il cibo e, se gli lasciano qualche briciola, è immangiabile perché impregnata del loro olezzo. Fineo sta aspettando con ansia gli Argonauti perché sa già che Zete e Calais, gli alati figli di Borea, sono destinati ad uccidere le Arpie. Appena i marinai lo vedono, seduto fuori la sua casa, gli si avvicinano e lui chiede il loro soccorso. Zete decide di aiutarlo ma prima vuole assicurarsi che, se lui e suo fratello uccideranno le Arpie, non saranno poi vittime dell’ira divina; Fineo giura che nulla accadrà.
La caccia alle Arpie
Per attirare le Arpie, alcuni degli eroi preparano il pranzo in casa di Fineo, mentre Zete e Calais si mettono in posizione. Ed ecco le Arpie che stridendo piombano dal cielo e divorano tutto in un baleno; appena si accorgono degli stranieri scappano, lasciandosi dietro un puzzo terribile. Zete e Calais partono all’inseguimento sguainando le spade. Non è facile raggiungere le velocissime Arpie e, quando finalmente le incastrano nei pressi delle Isole Erranti, Iris, sorella delle Arpie, interviene, dicendo ai due di lasciarle in pace perché non è loro compito ucciderle. Iris però promette anche che le Arpie lasceranno in pace Fineo e i Boreadi se ne tornano indietro; le Isole Erranti da quel giorno si chiamano Strofadi, che dovrebbe significare “Isole della Svolta”. Nel frattempo, gli Argonauti hanno preparato un sacrificio e finalmente Fineo può mangiare in santa pace e rivela una profezia importantissima ai marinai, fornendo informazioni preziose su come raggiungere la Colchide.
La profezia di Fineo
L’indovino informa gli Argonauti che il primo ostacolo sono le rocce Simplegadi, nel passaggio dal Bosforo al Mar Nero. Queste rocce sono famose per scontrarsi l’una con l’altra e schiacciare qualsiasi cosa si trovi in mezzo. Prima di attraversarle, devono far volare una colomba e proseguire solo se questa riesce a passare tra le rocce; se è così, allora bisogna che radunino tutte le loro forze e remino incessantemente. Se invece la colomba muore, meglio tornare indietro e lasciar perdere tutto perché andrebbero incontro a morte certa. Se, e solo se, riescono a oltrepassare le Simplegadi, conviene costeggiare la terra Bitinia fino all’isola Tinia, dove li avverte di scendere. Poi devono andare di fronte, nella terra dei Mariandini; potranno riconoscere l’alta scogliera Acherusia che ospita l’ingresso dell’Ade e il fiume Acheronte, che si riversa funesto nel mare. Da qui proseguiranno ancora lungo la costa; passeranno la Paflagonia, Capo Carambi (un promontorio funestato dalle tempeste di Borea) e la Grande Spiaggia.
All’estremo della Grande Spiaggia scorrono i fiumi Halys e Iride e da qui occorre andare avanti fino al golfo dove sfocia il Termodonte, sotto Temiscira (la città delle Amazzoni). Dopodiché costeggeranno i paesi dei Calibi, dei Tibareni e dei Mossineci; una volta passate queste terre, approderanno sull’isola di Ares, infestata dagli uccelli di bronzo, quelli della sesta fatica di Eracle, e dovranno scacciarli. Li informa che qui qualcosa di utile gli verrà dato dal mare. Poi, ripartendo dall’isola, devono costeggiare in ordine le terre dei Filiri, dei Macroni, dei Becheri, dei Sapiri, dei Bizeri, e poi dei guerrieri Colchi. Dovranno ancora continuare fino a trovare il punto dove il fiume Fasi sfocia nel mare; da quel punto, potranno già individuare la reggia di Eeta, re della Colchide, e il bosco di Ares dove è appeso il Vello d’oro, sorvegliato da un terribile drago che non riposa mai.
Gli Argonauti sono tutti angosciati da quello che li aspetta e Giasone, più che sapere come arrivare in Colchide, vuole capire se e come torneranno a casa. Fineo risponde che non può rivelare altro, ma lo assicura che un Dio li assisterà nel ritorno. L’ultima cosa che può aggiungere è che dovranno appellarsi ad Afrodite (intende dire all’amore e all’eros, alludendo alla relazione tra Giasone e Medea che sarà fondamentale per ottenere il vello e tornare a casa). Zete e Calais finalmente tornano e informano i compagni che Fineo è finalmente libero dalle Arpie. Gli eroi preparano i soliti sacrifici ad Apollo e l’indomani, col placarsi dei venti etesi, finalmente ripartono, portandosi dietro una colomba. Li segue Atena, invisibile, per assisterli.
Sesta tappa: le rocce Simplegadi
Gli eroi escono dal Bosforo e poco dopo sentono un rimbombo e il mare che urla all’impazzata; si stanno avvicinando alle rocce Simplegadi, che cozzando producono un fragore terribile e causano onde altissime. Poi le vedono e subito vengono colti dalla paura. Eufemo, che reggeva la colomba, prontamente la lancia per farla volare tra le rocce, proprio mentre queste tornano a scontrarsi. I cuori degli Argonauti si fermano; ma ecco la colomba che sbuca dalla parte opposta, con la coda appena spennacchiata. Come le rupi si separano, Tifi urla di remare a più non posso mentre la nave viene trascinata dalle onde direttamente tra le spaventose Simplegadi; un’ondata enorme ora minaccia di ribaltarli, ma l’abilissimo timoniere riesce a cavalcarla. Nonostante ciò, il riflusso li tira indietro, allontanandoli dal passaggio; i remi dei marinai si curvano per la forza con cui cercano di avanzare ma niente, Argo continua a indietreggiare.

Arriva una nuova ondata, che questa volta li spinge in avanti, di nuovo in mezzo alle rocce che già si stanno richiudendo. Allora interviene anche Atena, che spinge la nave oltre il passaggio, appena in tempo prima che le Simplegadi si scontrino con un suono frastornante. Come la colomba, Argo se l’è cavata solo con un leggero danneggiamento all’aplustre. Tifi è sollevato e ha trovato una rinnovata speranza, mentre Giasone è ancora più turbato. Anche se sa che a casa in un modo o nell’altro ci torneranno, è preoccupato per il come e per tutti i pericoli che ancora li aspettano, non tanto per sè stesso quanto per tutti quelli che ha trascinato nell’impresa. I compagni cercano di rincuorarlo e Giasone trova in loro la fiducia per andare avanti. Dietro di loro, le rupi si sono fermate; infatti, secondo una profezia, se anche un solo marinaio avesse visto e oltrepassato le rocce, queste si sarebbero arrestate.
Settima tappa: l'isola Tinia
L'incontro con Apollo
Gli Argonauti seguono il tragitto descritto da Fineo e mentre si avvicinano all’isola Tinia, vedono Apollo in persona. Scioccati e stupiti, non pronunciano parola. Sbarcano sull’isola e la consacrano al Dio; poi preparano un grande sacrificio e costruiscono un altare, che diverrà il tempio della Concordia. Per tre giorni sostano qui, celebrando Apollo; poi riprendono la navigazione dirigendosi presso il Capo Acherusio, nella terra dei Mariandini.
Ottava tappa: i Mariandini
L'accoglienza di re Lico
Gli Argonauti intravedono il Capo Acherusio che si staglia sul mare e sbarcano qui. Sulla cima si estende la valle dove si trova, avvolta dalla foresta, la grotta con l’accesso all’Ade e individuano il fiume Acheronte che si riversa nel mare. Vengono accolti di buon grado dai Mariandini e dal re Lico. Re Lico è dispiaciuto per l’assenza di Eracle, al quale è affezionato perché sottomise diversi popoli confinanti a suo padre Dascilo. Ora è riconoscente anche agli Argonauti per la liberazione dei Mariandini dai nemici Bebrici con i quali erano in guerra da molto tempo e, come segno di ringraziamento, manda suo figlio Dascilo con loro. La sua presenza garantirà ai marinai ospitalità fino al Termodonte. Poi li copre di doni e provviste e promette di erigere un tempio in onore dei Dioscuri sulla cima della scogliera Acherusia, a protezione dei naviganti.
La morte di Idmone e Tifi
Gli eroi sono pronti a partire, ma improvvisamente un cinghiale aggredisce Idmone. Ida uccide la bestia, però la ferita di Idmone è troppo profonda e ne causa la morte. Mentre stanno ancora celebrando i dovuti riti funebri, Tifi, il timoniere, si ammala e muore di un morbo sconosciuto. Gli Argonauti, ormai afflitti e demoralizzati, non pensano neanche più a tornare a casa, anche perché senza Tifi chi guida la nave Argo? Anceo, figlio di Poseidone e Astipalea, si fa coraggio e prende da parte Peleo e con un discorso rincuorante gli rivela di essere un esperto timoniere. Peleo subito si rivolge ai compagni, facendo notare che hanno passato già troppo tempo nel lutto e che è ora di rimettersi in viaggio per portare a termine le Argonautiche e che possono farlo grazie ad Anceo. Lo sconfortato Giasone si risolleva un po' e così gli eroi ripartono, sostenuti dal vento Zefiro.Nona tappa: la tomba di Stenelo
Passato a remi il fiume Acheronte e raggiunta la foce del Callicoro, si imbattono nella tomba di Stenelo. Stenelo è un eroe che perse la vita in quei luoghi mentre tornava con Eracle dalla battaglia con le Amazzoni. E qui, desideroso di vedere i suoi compagni Greci, Stenelo appare agli eroi. Immediatamente sbarcano per offrirgli sacrifici e costruire un altare ad Apollo; Orfeo consacra qui la sua lira, e da questo episodio quel luogo viene chiamato “la Lira”. Poi gli Argonauti riprendono il loro travagliato viaggio a vele spiegate. Come previsto da Fineo, passano la Paflagonia, Capo Carambi e la Grande Spiaggia; poi i fiumi Halys e Iride, in Assiria. E ancora proseguono oltre Temiscira per arrivare alla foce del Termodonte. Infine costeggiano le terre dei Calibi, dei Tibareni e dei Mossineci. E di fronte individuano l’isola di Ares, infestata dagli uccelli del lago Stinfalide, che scagliano le loro penne di bronzo come frecce per catturare le loro prede umane. Fineo gli ha detto di scendere qui perché “qualcosa gli verrà dato dal mare”.
Decima tappa: l'isola di Ares
Gli uccelli di Stinfalo
Quando ancora si stanno avvicinando nei pressi dell’isola, uno degli uccelli sorvola la nave Argo e ferisce Oileo con una piuma di bronzo. Clizio ne colpisce uno con una freccia ma gli Argonauti capiscono subito che archi e frecce non basteranno. Amfidamante sa come ha fatto Eracle a scacciare gli uccelli, cioè facendo un baccano insopportabile per gli uccelli, con delle nacchere di bronzo. Così propone una soluzione: metà di loro continui a remare e avanzare verso la spiaggia, mentre l’altra metà indossi gli elmi e si posizioni al centro della nave, reggendo alti gli scudi per proteggere tutti. Poi consiglia di gridare tutti insieme e, una volta sbarcati, di fare rumore battendo gli scudi con le lance. Seguendo alla lettera la strategia di Amfidamante, riescono a scacciare tutti gli uccelli dall’isola.
L'incontro con i figli di Frisso
Nel frattempo i quattro figli di Frisso, Citissoro, Frontis, Melas e Argo, erano partiti dalla Colchide per andare in Tessaglia a recuperare l’eredità del padre; la loro nave è affondata proprio nei pressi dell’isola di Ares, a causa di una tempesta scatenata da Zeus. Aggrappati ad un tronco, i quattro vengono spinti dalle onde sulla spiaggia e così si incontrano con gli Argonauti. Giasone è impaziente di sapere chi siano, memore della profezia di Fineo. Argo gli racconta la storia di suo padre e dell’ariete dal vello d’oro che lo portò in Colchide, dove fu accolto dal re Eeta, il quale gli diede anche in sposa sua figlia Calciope, loro madre. Ora Frisso è morto e loro stanno compiendo questo viaggio per obbedire ai suoi comandi. Questo Argo figlio di Frisso in altre versioni è lo stesso Argo che costruisce la nave, infatti in questo caso l’incontro avviene già in Grecia, all'inizio delle Argonautiche.L'alleanza
Giasone rivela ai ragazzi che sono anche parenti, perché Frisso ed Esone, il padre di Giasone, erano cugini di primo grado. A presentazioni fatte, Giasone informa i figli di Frisso che la ragione delle loro avventure è riportare il vello d’oro in Grecia, e gli chiede se sono disposti ad aiutarlo. Argo risponde che faranno quanto possibile ma di aspettarsi una forte resistenza da Eeta, perché è un re malvagio e istigatore alla violenza. Poi c’è da considerare l’immortale drago che protegge il loro obiettivo e che non dorme mai. Subito una nuova angoscia pervade gli eroi ma Peleo li fomenta, confidando nel loro valore da guerrieri a cui possono affidarsi se Eeta non dovesse consegnargli spontaneamente il vello. Il mattino seguente si rimettono in viaggio, portando con loro i figli di Frisso.

Undicesima tappa: la Colchide
Passate le ultime terre, intravedono il Caucaso, dove Prometeo è incatenato e subisce la tortura dell’aquila. E la vedono, l’aquila, e la sentono stridere mentre per l’ennesima volta torna dal titano a cibarsi del suo fegato. Finalmente raggiungono la foce del fiume Fasi e da qui risalgono a remi il suo corso. A sinistra hanno la città di Eea e a destra il bosco di Ares, dove è custodito il vello. Sono finalmente arrivati in Colchide. Nascondono la nave in una palude e lì passano la notte.
Nel frattempo Era ed Atena pensano a come aiutare gli eroi, e decidono di chiedere ad Afrodite di inviare suo figlio Eros con l’obiettivo di far innamorare la figlia di Eeta, la maga Medea, di Giasone. Afrodite acconsente, sebbene non sia molto sicura che il dispettoso e ribelle figlio voglia darle retta. Così va nel giardino di Zeus, dove trova Eros che gioca a dadi con Ganimede e gli rivolge la sua richiesta, promettendogli in cambio la palla con cui giocava Zeus quando era bambino. Eros vola immediatamente in Colchide.
Gli Argonauti intanto stanno discutendo sul da farsi; Giasone vuole prima andare da Eeta per provare a persuaderlo a consegnargli il vello d’oro, convinto che spesso le parole siano meglio della spada. Dopotutto Eeta ha accolto Frisso nella sua terra e se anche dovesse rivelarsi contrario, quantomeno sanno che, come ogni uomo che si rispetti, non tradisce le leggi dell’ospitalità. La verità però è un’altra, infatti Eeta è stato costretto dal volere di Zeus ad ospitare Frisso; in più un oracolo lo ha messo in guardia su “qualcuno della sua famiglia” e già nutre profondi sospetti nei confronti dei quattro nipoti, i figli di Frisso. Giasone, Augia e Telamone si dirigono alla reggia, guidati dai figli di Frisso. Percorrono una pianura piena di salici e pioppi, alberi sacri a Persefone, ai quali sono appesi dei cadaveri. E’ un’usanza dei Colchi, che possono seppellire soltanto le donne.
L'incontro con il re Eeta
Il re Eeta ha tre figli: Assirto, nato dalla ninfa del Caucaso Asterodea, Calciope, vedova di Frisso, e Medea, maga e sacerdotessa di Ecate; di queste ultime la madre è l’oceanina Idea (o Iduia). Il piccolo gruppo viene accolto da Medea e Calciope, che alla vista dei figli urla di gioia, contenta che siano tornati così presto. Si aggiungono anche il re Eeta e la moglie Idea e subito viene organizzato un grande banchetto. Nel frattempo, volando nascosto, arriva anche Eros, e con mira infallibile colpisce il cuore di Medea, che immediatamente arde per Giasone. Eeta intanto interroga i nipoti; Argo cautamente racconta del naufragio e dell’aiuto degli Argonauti, poi spiega chi è Giasone (sottolineando la parentela), senza dimenticare di dire che la nave Argo è stata fabbricata con l’assistenza di Atena e che gli Dei proteggono quella spedizione a cui partecipano i più grandi eroi della Grecia. Infine aggiunge che sono lì per chiedergli il vello d’oro e specifica che non vogliono usare violenza, ma intendono ripagarlo aiutandolo a sconfiggere i suoi nemici Sauromati. Poi spiega chi sono gli altri due accompagnatori: Augia, figlio di Elio, per cui fratellastro di Eeta, e Telamone, figlio di Eaco, a sua volta figlio di Zeus.

Il rifiuto di Eeta
Eeta si infuria, sospettando che il vello sia solo un pretesto inventato dai nipoti per sottrargli il regno. Giasone prova a rassicurarlo dicendo che loro hanno interesse solo nel vello d’oro e ribadisce che intendono ripagarlo. Eeta allora impone una prova a Giasone come dimostrazione del suo valore e solo se la supererà, accetterà di consegnargli il vello d’oro. La prova consiste nell’arare il campo di Ares dopo aver aggiogato due tori dai piedi di bronzo che sputano fuoco; dopodiché, nello stesso campo, dovrà seminare dei denti di drago (gli stessi che Cadmo ha seminato prima di fondare Tebe). Dove seminerà i denti, spunteranno degli uomini armati e dovrà abbatterli tutti. Eeta stesso compie questa impresa tutti i giorni, a detta sua.
Giasone si demoralizza perché non ha molta fiducia nella sua forza di guerriero. Inoltre non ha mai accettato a pieno quella spedizione, alla quale è stato costretto per volere di Pelia, che in ogni caso è giostrato dal volere di Zeus che pretende espiata la persecuzione di Frisso. Seppur riluttante, accetta di sostenere la prova e con Augia, Telamone ed Argo, lascia la reggia per tornare alla nave; raggiunti gli altri, li aggiorna sulla tragica situazione. Subito alcuni dei compagni si fanno avanti per proporsi come campioni e sostituirsi a Giasone ma Argo li frena, dicendo che vuole chiedere aiuto a sua zia Medea. In quel momento una colomba, fuggendo da uno sparviero, cade addosso a Giasone mentre lo sparviero va ad impalarsi sull’aplustre della nave. La colomba è sacra ad Afrodite e subito Mopso interpreta il segno divino e capisce che il piano può funzionare, ricordando che Fineo li aveva avvertiti di appellarsi alla dea dell’amore.
Eeta, convinto che Giasone non supererà la prova e morirà, sta pianificando come uccidere tutti gli altri marinai e i nipoti, ormai sicuro che sono loro quelli da cui l’oracolo l’ha messo in guardia. Medea intanto, è disperata, angosciata e tormentata; è consapevole della sorte di Giasone ed è divisa in due tra l’impeto di aiutarlo e la paura di ferire e deludere i genitori. L’unica cosa che potrebbe farle prendere una decisione definitiva sarebbe una richiesta di aiuto da parte della sorella Calciope. E in effetti Argo ha chiesto a sua madre Calciope di intercedere per loro e chiedere aiuto alla sorella, ma lei teme che Medea non accetterebbe. Ad ogni modo, decide di tentare. Nota che Medea è turbata e le chiede se è per il destino dei nipoti. Medea “confessa” che è così e Calciope le rivela che Argo l’ha mandata a chiederle il suo sostegno per la prova di Giasone.
L'incontro tra Giasone e Medea
Medea non aspettava altro e pianifica di portare un filtro magico a Giasone, grazie al quale ha una buona possibilità di superare la prova. Ma la sua mente resta combattuta, perché in fondo sta per tradire il padre per un completo sconosciuto. Dopo una notte di tormenti e struggimenti, pensando addirittura al suicidio, finalmente Medea si prepara e si fa bella; prende il filtro (ricavato da un fiore del Caucaso nato dal sangue di Prometeo, probabilmente lo zafferano) e si reca tempio di Ecate, dove ha dato appuntamento a Giasone e i due finalmente si incontrano. Medea trema, sconvolta dall’amore, dalla passione e dal vortice di emozioni che l’hanno colpita in poco tempo; non riesce a parlare, così Giasone fa il primo passo. Le parla, lodandola e ringraziandola per l’aiuto che ha accettato di dargli. Medea gli dà il filtro e gli fornisce le istruzioni per usarlo.
Le istruzioni di Medea
Giasone dovrà andare al fiume nel pieno della notte, vestito con abiti scuri, e bagnarsi; poi scaverà una fossa e ci costruirà sopra una pira, sulla quale metterà un'agnella che dovrà sgozzare. E’ un sacrificio ad Ecate, che va compiuto spargendo latte e miele tutt’intorno. Dopo il sacrificio dovrà allontanarsi dalla pira senza mai, per nessun motivo al mondo, guardare indietro e tornare dritto dai compagni. All’alba poi si ungerà il corpo con la pozione, e farà la stessa cosa anche con lancia e scudo: tutto ciò gli darà, per tutta la giornata, una forza sovrumana e lo renderà invulnerabile al fuoco e alle armi. Medea gli consiglia anche di lanciare una pietra tra i guerrieri che nasceranno dai denti del drago, proprio come fece Cadmo, così che una parte di loro si uccida a vicenda. Infine si raccomanda di non dimenticarsi mai di lei, una volta tornato in Grecia. Lui promette di non farlo e nel frattempo anche lui si sta innamorando di lei. E così, tra dolci parole, tra i due si insinua l’idea della fuga di lei in Grecia.
I due si separano e nel frattempo Telamone ed Etalide si recano alla reggia per prendere i denti del drago. Atena aveva dato una parte di questi denti ad Eeta e una parte a Cadmo, per piantarli dove poi nacque Tebe. La notte, Giasone si reca al fiume per compiere il sacrificio ad Ecate, seguendo per filo e per segno le istruzioni di Medea. Fa la stessa cosa all’alba, ungendo il suo corpo e le armi con il filtro magico. E’ quasi l’ora della prova; Eeta, splendente come il Sole suo padre, vestito con la corazza che Ares indossava durante la Gigantomachìa, va ad assistere alla prova, scortato dal popolo.
La prova di Giasone
Giasone è in posizione sul campo; improvvisamente, da qualche grotta sotterranea, avvolti da fuliggine e fuoco, spuntano i tori che subito caricano ma lui è già pronto a proteggersi con lo scudo, che nello scontro neanche si scalfisce. Giasone rapidamente colpisce tutte e due le bestie e le lega al giogo. Eeta, che era sicuro che a questo punto Giasone sarebbe già stato ucciso, è scioccato. L’eroe, noncurante delle spire che lo avvolgono, sistema l’aratro al giogo, ci si mette sopra e con la lancia colpisce i tori per farli avanzare. Mentre le zolle di terra si smuovono, semina i denti. Verso sera, tutto il campo è arato, quindi libera i tori e va a dissetarsi al fiume; nel frattempo, i guerrieri spuntano dal terreno e invadono il campo. Giasone prende una pietra e la lancia tra di loro; Eeta resta colpito dalla tattica. Mentre i guerrieri si eliminano a vicenda, Giasone si lancia nella mischia e, senza timore, li uccide tutti. La prova è compiuta ed Eeta, incredulo e adirato, pensa a come eliminare tutti gli Argonauti.
La fuga di Medea
Medea intanto realizza che il padre si renderà conto presto che c’è per forza il suo zampino e il terrore la pervade. Ora ha solo due scelte: suicidarsi o fuggire con i Greci. La Dea Era non può permettere che Medea muoia adesso, non prima che muoia Pelia, e così la dissuade dal pensiero del suicidio e la spinge a fuggire dal palazzo. La fanciulla, in preda all’ansia, raggiunge la nave, dove trova anche i quattro nipoti. Chiede subito a Giasone di accoglierla e portarla in Grecia, richiamando la conversazione al tempio. Al vello ci penserà lei perché può facilmente addormentare il drago, ma devono agire in fretta e battere Eeta sul tempo. Giasone senza esitazione la fa salire a bordo e le promette, come già aveva fatto al tempio, di sposarla. Quindi avvicinano il più possibile la nave al bosco di Ares.
La conquista del vello d'oro
Medea e Giasone scendono sulla radura dove approdò l’ariete che portava in salvo Frisso e vanno verso il bosco di Ares. Sentono i versi assordanti del drago, che li ha già individuati. Medea riesce ad avvicinarsi, evitando le spire di fuoco e, invocando Hypnos (il Sonno) ed Ecate, addormenta il mostro. Giasone prende l’agognato vello, appeso ad una quercia; è ampissimo, più pesante di quanto immaginava e la terra riflette i bagliori dorati che emana. I due tornano in fretta alla nave e gli eroi restano sbalorditi alla vista del famoso manto. Finalmente l'obiettivo delle Argonautiche è stato raggiunto. Giasone ordina di partire subito, temendo l’arrivo di Eeta, e chiede ai compagni di proteggere Medea ad ogni costo. Intanto Eeta ha compreso il tradimento della figlia; con la folla di Colchi e Assirto, è arrivato al fiume, ma la nave già non c’è più, ormai è già lontana grazie a un vento favorevole che la dea Era ha fatto soffiare per gli eroi. Ma il re minaccia di uccidere tutti i Colchi, se non gli riportano indietro la figlia.

Le Argonautiche: viaggio di ritorno

Prima tappa: la Paflagonia
Gli Argonauti approdano in Paflagonia; mentre Medea compie sacrifici ad Ecate, gli Argonauti ragionano sulla strada da percorrere; grazie alla profezia di Fineo, sanno di dover fare un viaggio diverso dall’andata. Argo sa anche quale sia questa strada perché l’ha scoperta da alcune tavole in possesso dei Colchi. Devono raggiungere la foce del fiume Istro (il Danubio) nel Mar Nero; da lì, risalendo il fiume, possono navigare attraverso i bracci in cui si divide e raggiungere il mare di Crono (l’Adriatico). Si mettono in cammino, dopo aver salutato il figlio di Lico, Dascilo, che torna a casa.
Nel frattempo però i Colchi si sono divisi; una parte di loro si dirige verso il mar Egeo attraversando le Simplegadi, ormai ferme, mentre gli altri, guidati da Assirto, hanno tagliato il percorso e raggiungono la Foce Bella, che si riversa nell’Adriatico. E si piantano qui, in attesa, per bloccare il passaggio agli Argonauti.
Seconda tappa: le isole Brigie
Risalendo l’Istro, gli eroi arrivano nelle isole Brigie (al largo dell’odierna Croazia), ma si trovano bloccati da Assirto. Allora le due fazioni stringono un patto: Medea verrà affidata ad Artemide e alle sue ancelle, in attesa del giudizio di “qualche re” che, in qualità di giudice, deciderà se va rimpatriata o se può restare con i Greci. Medea si sente umiliata e tradita e chiede a Giasone come abbia potuto dimenticare tutte le promesse e come possa accantonare l’aiuto che lei gli ha dato. Gli dice di assumersi le sue responsabilità e difenderla a spada tratta per portarla in Grecia; altrimenti, meglio che le tagli la gola subito, con la consapevolezza che lo perseguirà dall’Ade. Giasone cerca di tranquillizzarla dicendole che in realtà nessuno vuole lasciarla in mano al fratello Assirto ma stanno solo cercando di prendere tempo perché combattere è fuori discussione, i Colchi sono troppi per sconfiggerli e stanno piuttosto escogitando un piano per ingannare Assirto. E’ davvero così? Oppure sta cercando di rimediare per paura?
L'uccisione di Assirto
Medea allora prende in mano la situazione e dice a Giasone che penserà lei a portargli il fratello e lui potrà ucciderlo. Quindi la maga manda i messaggeri di Assirto a riferirgli di incontrarla al tempio di Artemide. Assirto accetta, convinto che Medea voglia ingannare gli Argonauti e trova la sorellastra al tempio; c’è anche Giasone, nascosto, che sbuca all’improvviso e uccide Assirto mentre Medea si volta dall’altra parte. Giasone compie un rito per purificarsi dall’omicidio attuato con l’inganno che consiste nel leccare e sputare tre volte il sangue del colpito; poi seppellisce il figlio di Eeta, offrendolo in sacrificio agli dei degli inferi. I marinai decidono di partire subito così che, quando all’alba i Colchi si renderanno conto dell’accaduto, loro saranno già lontani.
Terza tappa: gli Illei
Gli Argonauti sbarcano nelle terre degli Illei, che prendono il nome dal fondatore Illo, figlio di Eracle e Melite. Gli Illei accolgono gli eroi e Giasone dona loro uno dei due tripodi che Apollo gli aveva dato prima dell’inizio delle avventure argonautiche. Si dice che i tripodi avrebbero reso indistruttibile la terra dove sarebbero stati fissati. I Greci ripartono, ignari che su di loro incombe l’ira di Zeus per l’indegna uccisione di Assirto. Al padre degli Dei non basta il rito che Giasone ha già compiuto: pretende che vadano a purificarsi da Circe, altrimenti gli negherà il ritorno, che in ogni caso non gli renderà facile.
L'infernale traversata verso il Tirreno
Gli eroi vanno verso sud nell’Adriatico, passando prima Corcira Nera (Curzola, isola croata) e qualche altra isola; si intravedono in lontananza i monti Cerauni, al confine dell’odierna Albania, quando una violenta tempesta li sbatte indietro, riportandoli da dove erano partiti dopo l’assassinio di Assirto. E nel mentre Zeus tuona su di loro e, parlando attraverso la tavola di Argo (quella ricavata dalla quercia di Dodona), gli impone di andare da Circe. A questo punto lo stuolo di eroi naviga fino alla foce adriatica dell’Eridano (talvolta identificato col Pò, talvolta con il Rodano) con l’obiettivo di raggiungere il Tirreno da qui. Mentre risalgono il fiume, il cattivo odore che questo emana, causato dal corpo di Fetonte che giace lì, li debilita. In più li inquietano gli strazianti lamenti delle Eliadi, sorelle di Fetonte, che ancora piangono la sua morte; le loro lacrime ambrate che sgorgano dai salici contaminano le acque come gocce d’olio. Seguendo il percorso del fiume, risalgono alle terre dei Celti e dì lì devono riscendere verso il Tirreno, guidati da una preoccupata dea Era. Sbucano alle isole Stecadi (al largo della Provenza), poi fanno una breve sosta ad Etalia (attuale Elba), e si mettono finalmente sulla rotta giusta per l’isola Eea, dimora della maga Circe, zia di Medea.
Quarta tappa: l'isola Eea
Trovano Circe mentre si purifica la testa nel mare, in seguito a sogni inquieti; insieme a lei c’è un “gregge” di esseri mostruosi nati dalla Terra. Circe chiama Giasone e Medea, i quali, muti, la seguono verso la sua casa. Non possono parlare, non finché non sono stati purificati. Circe allora comprende il loro stato di supplici e di colpevoli e dà inizio al rito di purificazione: sulle teste dei due sgozza un maialino, per poi bagnare di sangue le loro mani e spargere libagioni recitando preghiere per placare Zeus e le Erinni. Dopodiché, li interroga e, compresa ogni cosa, il suo disappunto è fin troppo evidente. Tuttavia, lascia andare via la nipote, che prova un senso di vergogna e di angoscia per il rimprovero della zia.
Intanto Era sta spianando la strada ai marinai in vista del passaggio tra Scilla e Cariddi e poi tra le Plancte. Invia la sua messaggera, Iris, da Efesto per fargli “fermare” la sua fucina (l’Etna), che crea tempeste di fuoco che investono le Plancte, dove l’acqua ribolle per il calore. Poi chiede ad Eolo di placare tutti i venti tranne il buon Zefiro, fino a che gli Argonauti non raggiungono l’isola dei Feaci. Infine chiede a Teti di scortare la nave e di tenerla dritta sulla rotta, per non farla finire nelle grinfie di Scilla e Cariddi; una li divorerebbe, l’altra li trascinerebbe a fondo. Le chiede di farlo per Medea, perché il destino vuole che nei campi Elisi diventi la moglie di Achille, suo figlio.
Le Sirene
All’alba, gli Argonauti lasciano Eea. Passano l’isola di Antemoessa, dove le Sirene cercano di attirarli con il fatale canto, ma Orfeo prende la cetra e intona melodie per disincantare i compagni dalla voce delle Sirene. Ma Bute non riesce comunque a resistere e si tuffa. Abbandona così le Argonautiche, ma verrà salvato da Afrodite, che lo porta sul promontorio Lilibeo.
Quinta "tappa": Scilla, Cariddi & le Plancte
Ed ecco che arrivano alle temute Scilla e Cariddi, che grazie a Teti riescono ad attraversare senza problemi. Ora ci sono le ruggenti Plancte; anche se Efesto ha fermato la sua fucina, il cielo è coperto di fuliggine e l’acqua è caldissima, ma almeno non ribolle. Teti spinge la nave contro le correnti che tra le Plancte prendono forma, tenendola sulla rotta giusta; le Nereidi invece, posizionate sulle rocce, spingono ora da una parte, ora dall’altra per allontanarla dalle Plancte e mantenerla al centro del passaggio. Efesto, dall’alto dell’Etna, osserva la scena al fianco di Era, abbracciata ad Atena per il timore. Finalmente superano le Plancte e costeggiano la Sicilia. Da lì navigano tranquilli fino all’isola dei Feaci: Drepane.

Sesta tappa: l'isola dei Feaci - Drepane/Corcira
Le nozze di Giasone e Medea
Si dice che Drepane significhi “falce” e che abbia questo nome perché lì è sepolta la falce con cui Crono evirò Urano e che i Feaci, abitanti dell’isola, siano nati dal sangue di Urano. Viene chiamata anche Corcira ed è l’odierna Corfù. Gli eroi qui vengono sopresi da quell’altra metà dei Colchi che aveva attraversato le Simplegadi, che reclama Medea. Il re Alcinoo, che ha accolto gli Argonauti, prova a mediare. Teme per il destino di Medea ma ha anche paura che Eeta possa muovere guerra contro la Grecia e sa che come guerriero è praticamente imbattibile. Perciò vuole agire secondo giustizia e decide che se Medea è ancora vergine, allora sarà consegnata ai Colchi, ma se è già legata a Giasone, non potrà strapparla al legittimo sposo. Immediatamente Arete, la moglie di Alcinoo, manda un messaggero a riferire tutto agli eroi e loro organizzano in fretta le nozze per Giasone e Medea. All’alba del giorno dopo, Alcinoo dichiara la sua decisione su come agire; Appena scopre del matrimonio, impone ai Colchi di rispettare la legge e di non interferire.
Settima tappa: la Grande Sirte - il deserto Libico
Ripartendo da Corcira, che è gia in Grecia, verrebbe da pensare che ormai è fatta, tirano dritto per casa. E invece no, le pene che devono soffrire non sono terminate. Una tremenda tempesta di Borea li spinge nel golfo della Grande Sirte, in Libia. La nave si arena sulla terra desertica che affaccia sul golfo e non c’è modo di tornare indietro; sono impantanati e il deserto libico si apre immenso davanti a loro. I marinai sono esausti, disperati e convinti che sia la fine delle loro avventure Argonautiche; in preda a un senso di impotenza, si sdraiano sulla sabbia in attesa della morte. Ma tre Dee, le eroine di Libia, appaiono a Giasone per smuoverlo e gli dicono che “quando Anfitrite avrà sciolto il carro di Poseidone” devono pagare il debito alla madre che li ha portati in grembo. Giasone non ha la più pallida idea di cosa significhi questo “vaticinio” ma all’improvviso un cavallo enorme dalla criniera dorata sbuca dal mare correndo verso il deserto. Al che Peleo comprende che quel cavallo è il simbolo di Poseidone e che la madre è la nave Argo, che per mesi, anni, li ha portati nel suo grembo. Quindi in sostanza devono caricarsi la nave sulle spalle e incamminarsi a piedi seguendo il percorso del cavallo.
Ottava tappa: il lago Tritonide
L'incontro con le Esperidi
Per dodici interminabili giorni trasportano Argo attraverso il deserto finché raggiungono il lago Tritonide, dove finalmente immergono la nave Argo. Terribilmente assetati, si mettono immediatamente alla ricerca di una fonte e si imbattono nel giardino delle Esperidi, dove trovano il drago Ladone steso morto: Eracle l’ha ucciso il giorno prima, compiendo l'undicesima fatica. Si avvicinano alle ninfe Esperidi che ancora piangono la morte del drago; le ninfe indicano agli eroi un punto dove Eracle, assetato anche lui, ha colpito col piede una roccia ed è sgorgata una sorgente. Gli Argonauti si precipitano a bere e li assale l’idea di poter raggiungere il compagno.
La morte di Canto e Mopso
Linceo, dalla vista straordinaria, cammina alla ricerca di Eracle, mentre Zete e Calais scrutano la terra volando; anche Canto partecipa, perché vuole avere notizie di Polifemo, ignaro del fatto che, dopo aver fondato la città di Chìo, in Misia, gli era preso il desiderio di riunirsi alle Argonautiche e si era messo alla ricerca di Argo ma era morto nel paese dei Calibi. Di Eracle non c’è traccia; intanto Canto incontra un pastore con un gregge di pecore e vorrebbe portarne qualcuna ai compagni affamati; ma il pastore, che tra l’altro è figlio di Apollo, Cafauro, lo uccide. E lo stesso giorno gli Argonauti devono seppellire anche Mopso, il profeta, a causa del morso di un serpente (uno di quelli nati dal sangue colato dalla testa di Medusa).
L'incontro con Tritone
Poi finalmente salgono di nuovo su Argo, ma non riescono a uscire dal lago Tritonide. Orfeo propone di tirare fuori l’altro tripode che Apollo ha dato a Giasone e di piantarlo lì, in offerta a qualche benevolo dio che voglia aiutarli. Subito si trovano davanti Tritone, figlio di Poseidone. Tritone indica dove si trova il passaggio per raggiungere il mare e spiega che, una volta raggiunto il mare, devono girare a destra e costeggiare la terra finché non oltrepassano il promontorio. Dopodiché sarà facile trovare la strada. Gli Argonauti partono, dopo aver reso onore a Tritone con un sacrificio. Al che Tritone torna per spingere lui stesso la nave sulla rotta giusta per raggiungere il mare. Finalmente sono di nuovo in mare aperto e puntano per Creta.
Nona tappa: Creta
Prima ancora di approdare sull’isola in preda alla sete e alla fame, devono affrontare Talos, il gigante di bronzo, che in piedi su uno scoglio, sta scagliando pietre ai marinai per impedirgli di entrare nel porto. Talos è l’ultimo superstite della stirpe di Bronzo ed è stato donato da Zeus ad Europa, che l'ha messo a guardia dell’isola. E’ pressocché impossibile ferirlo, essendo letteralmente fatto di bronzo, ma ha un punto debole: una vena sulla caviglia, coperta a malapena da una membrana. Gli eroi stanno per fare dietro-front quando Medea dice di poter sconfiggere Talos. Invoca le Kere, le dee della morte, e scatena visioni mostruose al gigante. Talos barcolla e struscia la caviglia sullo scoglio, aprendo mortalmente la vena e cade senza vita. Gli eroi sbarcano a Creta e fanno provviste, per poi rimettersi subito in marcia attraverso il mare di Creta. Ma li coglie un buio profondo, senza stelle né punti di riferimento, talmente abissale da non avere la minima idea di dove stiano andando. Giasone invoca l’aiuto di Apollo, che si precipita lì e con l’arco e le frecce dorate emana bagliori di luce, il giusto per far intravedere un’isola ai marinai.

Decima e undicesima tappa: Anafe & Egina
Gli eroi decidono di fermarsi su quest’isoletta e di consacrarla al Dio Apollo, come ringraziamento. Assegnano anche un nome all’isola: Anafe. Dopodiché si rimettono in moto ed approdano ad Egina per fare provviste di acqua, ormai vicinissimi a casa. Ripartono da Egina, puntando direttamente al porto di Pagase, a Iolco, finalmente a casa. Terminano così le Argonautiche: dopo anni di sofferenze, sacrifici e sventure, gli eroi sono riusciti a portare il vello d'oro in Grecia.
Gli eroi delle Argonautiche
Nome | Regione di provenienza |
---|---|
Giasone | Tessaglia |
Orfeo | Tracia |
Asterione | Tessaglia |
Polifemo | Tessaglia |
Ificlo | Tessaglia |
Admeto | Tessaglia |
Erito | Tessaglia |
Echione | Tessaglia |
Etalide | Tessaglia |
Corono | Tessaglia |
Mopso | Tessaglia |
Euridamante | Tessaglia |
Acasto | Tessaglia |
Argo | Beozia |
Menezio | Locride |
Eurizione | Locride |
Euribote | Locride |
Oileo | Locride |
Canto | Eubea |
Clizio | Eubea |
Ifito | Eubea |
Telamone | Attica |
Peleo | Attica |
Bute | Attica |
Falero | Attica |
Tifi | Beozia |
Fliante | Argolide |
Taleo | Argolide |
Nome | Regione di provenienza |
---|---|
Areo | Argolide |
Leodoco | Argolide |
Eracle | Argolide |
Ila | Argolide |
Nauplio | Argolide |
Idmone | Argolide |
Castore | Laconia |
Polluce | Laconia |
Eufemo | Asia minore |
Ida | Messenia |
Linceo | Messenia |
Periclimeno | Messenia |
Amfidamante | Arcadia |
Cefeo | Arcadia |
Anceo | Arcadia |
Augia | Elide |
Asterio | Acaia |
Anfione | Acaia |
Ergino | Asia Minore |
Anceo (2) | Asia Minore |
Meleagro | Etolia |
Laocoonte | Etolia |
Ificlo (2) | Etolia |
Palemonio | Etolia |
Ifito | Focide |
Zete | Tracia |
Calais | Tracia |