ECO E NARCISO

Il mito di Eco e Narciso è uno dei più famosi della mitologia greca e romana e fa parte di quelle che noi chiamiamo “curiosità mitiche“; infatti questa bellissima seppur tragica storia nasconde la spiegazione sull’origine del fenomeno dell’eco e del fiore narciso. Eco è una ninfa delle montagne e Narciso è il bellissimo figlio del fiume Cefìso e della ninfa Lirìope. Alla nascita del bambino, Lirìope chiede un responso all’indovino Tiresia per sapere se il figlio vivrà a lungo; Tiresia risponde di sì, purché lui non guardi mai se stesso. Come qualsiasi responso di oracoli e indovini, è abbastanza vago e nessuno ci pensa più; Narciso cresce tranquillo, rubando cuori per il suo fascino ma ripudiando sempre l’amore. Non ama nessuno e da nessuno vuole farsi amare. Eco invece è caduta vittima delle vendette di Era (come tante donne) scatenate dalle scappatelle del marito. Infatti, più di una volta la ninfa l’aveva intrattenuta con frivole chiacchiere solo per distrarla mentre Zeus si crogiolava nei letti delle altre ninfe. E così Era, scoperta la cosa, impartisce una lezione ad Eco, non consentendole più di usare la parola come strumento di manipolazione: da donna loquace qual’era, ora Eco può solo ripetere le ultime parole di ciò che sente.

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L'amore di Eco per Narciso

Un giorno Eco vede sui monti il sedicenne Narciso a caccia di cervi; come tanti ragazzi e tante ragazze, se ne innamora all’istante. Non potendo parlargli per prima, lo segue e lo osserva di nascosto per giorni e giorni, finché lui, forse perché sente un rumore chiede: <<C’è qualcuno?>> e così Eco risponde: <<Qualcuno>>. Lui non la vede e cerca di parlarle per capire chi sia, ma lei continua solo a ripetere le sue ultime parole; così, a un certo punto Narciso esclama: <<uniamoci!>>. Eco, forse fraintendendo, mentre ancora ripete <<uniamoci>> si fionda ad abbracciare Narciso, il quale però la scansa e la allontana; la ripudia e addirittura le dice che morirebbe piuttosto che darsi a lei. Eco allora si rifugia nei boschi, rossa per la vergogna e in preda alle pene d’amore, non mangia e non dorme. Deperisce talmente tanto da diventare pelle ed ossa e il suo corpo inizia a svanire come polvere nell’aria; ma la sua voce resta lì, tra i monti. Ancora oggi, se parliamo, passeggiando da quelle parti, Eco risponde, rimandandoci le nostre ultime parole.

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L'amore di Narciso per se stesso

Narciso intanto continua a far strage di cuori, noncurante dell’amore ed estraneo ad esso. Un giovane ragazzo, al suo rifiuto, gli augura di innamorarsi e di non essere ricambiato. Nemesi, la Dea della vendetta, ha ascoltato. Non molto tempo dopo, Narciso si ferma ad una fonte per dissetarsi, stanco dalla caccia; sullo specchio d’acqua, guarda il riflesso di sé stesso e di colpo si innamora. Non capisce però che quello è il suo riflesso (non fate domande) e così, dopo aver a lungo ammirato l’amato, incapace di staccargli gli occhi di dosso, gli parla, tenta di abbracciarlo e di afferrarlo ma quello, che fino a poco prima ricambiava gli sguardi e le parole, fugge. Narciso è confuso (di nuovo, non fate domande) ma rimane lì inchiodato a guardare con occhi sognanti il suo amato, senza provare né fame né altro se non puro amore. E soffre, perché sa di essere ricambiato, eppure l’amato non si fa neanche sfiorare. Poi, il lampo di genio: è sé stesso quello che sta guardando! Narciso ora soffre ancora di più, perché vorrebbe staccarsi dal suo corpo per potersi amare. Quando finalmente realizza che non può curare né soddisfare il suo amore, si lascia morire lentamente, consumato dall’amore e dal delirio scatenato dall’impossibilità di agire. Eco, le Naiadi e le Driadi piangono la sua morte mentre il suo corpo brucia sulla pira; quando poi il fuoco è finalmente spento, tutto ciò che resta è un fiore dai petali bianchi e giallo al centro: il Narciso. Il mito raccontato nelle metamorfosi di Ovidio, è stato oggetto del bellissimo dipinto di John William Waterhouse.