DIONISO: Dio dell'ebbrezza
Caratteristiche del Dio

Dioniso, o Bacco (o anche Libero) per i romani, è il Dio del vino, dell’ebbrezza e dell’euforia. Caratteristiche del Dio sono l’essere sempre circondato di uva e viti, reggendo un tirso avvolto da pampini in una mano e una coppa di vino nell’altra. Il suo vino rende allegre, felici e, a volte, troppo euforiche le persone. Altra sua peculiarità è quella di essere sempre seguito dal suo corteo di Baccanti e satiri. Il dio Dioniso è visto come il più “piccolo” tra gli dei, quello più recente rispetto agli altri con culti già affermati. Cosa sensata se si pensa che sua madre Semele è figlia di Armonia, a sua volta figlia di Ares e Afrodite. Il dio della guerra e la dea della bellezza e dell’amore sono quindi bisnonni di Dioniso (qui potete controllare la mappa concettuale della Teogonia di Esiodo). A rappresentare questa “gioventù” di Dioniso, troviamo anche il Bacco di Caravaggio e il Bacco di Michelangelo, un quadro e una scultura che mostrano Dioniso come un fanciullo. Più volte assistiamo alla sua ascesa, con miscredenti che devono ricredersi sul suo conto, come nel caso di Licurgo o di Pentèo. Affermata la sua divinità, prende finalmente posto nell’Olimpo, portandosi dietro l’amata Arianna, che diventa sua moglie.
La nascita del futuro dio Dioniso
Una delle tante “scappatelle” che Zeus si concede, sempre convinto di potersi nascondere dalla moglie Era, è quella con Semele. Strano ma vero, il padre degli dei conquista il cuore di Semele, che resta incinta. La donna non scampa all’ira di Era, che assume la forma della nutrice di Semele, una vecchina di nome Bèroe e va a trovare Semele. Tra riverenze e chiacchierate, l’ignara fanciulla le racconta di Zeus. Bèroe però si dice diffidente perché troppo spesso gli uomini si spacciano per Dei e la convince a chiedere a Zeus una prova della sua divinità: che si mostri nella sua forma pura, così come lo ammira la moglie. Infatti, finora Zeus era sempre celato in una forma mortale perché per gli occhi umani guardare un Dio è fatale. Quando Semele dice a Zeus di avere una richiesta, il padre degli Dei promette di accoglierla ed è quindi costretto, a malincuore, a mostrarsi in tutto il suo splendore. Semele resta incenerita all’istante ma Zeus riesce a salvare il bambino, prematuro. Naturalmente, si tratta del futuro dio Dioniso. Se lo fa cucire all’interno di una coscia e porta così a termine la gravidanza, per poi affidarlo alla zia Ino.
L'affermazione del Dio Dioniso
Dioniso e Licurgo
Il Dio Dioniso ha ormai scoperto la vite e il vino, quando Era, ancora assetata di vendetta, lo rende folle (e non sarà l’ultima volta). Il giovane dio vaga per l’Asia e l’Africa, finché arriva in Frigia, dove viene curato da Rea (o Cibele, per i romani) la quale gli insegna anche i riti orgiastici che diventeranno tipici del suo culto. Continuando il suo cammino, arriva in Tracia, presso gli Edoni, dove Licurgo lo deride e lo scaccia, imprigionando anche il suo corteo di Menadi (o Baccanti) e Satiri. Dioniso allora fa impazzire Licurgo e il miscredente, in preda ai deliri, finisce per uccidere il suo stesso figlio, Driante. A causa di questo delitto tutte le terre della Tracia diventano sterili e, per volere di Dioniso, solo la morte di Licurgo può renderle di nuovo fertili. Così, gli Edoni lo condannano a morte legandolo a dei cavalli, in modo che venga fatto a pezzi. Morto Licurgo, Dioniso riprende il suo cammino e giunge a Tebe.
Dioniso e Penteo
Il disprezzo di Penteo per Dioniso
A Tebe governa Penteo, figlio di Echione ed Agave (sorella di Semele e zia materna di Dioniso). Penteo è quindi cugino del dio Dioniso ma questo non gli impedisce di disprezzarlo. Infatti vuole impedire a questo sedicente dio di praticare i suoi “riti” che sono solo un continuo gridare e correre in preda agli effetti della bevanda che si porta dietro (il vino). A conoscenza del fatto che Dioniso sta trascinando nel suo corteo anche gente di Tebe, Penteo manda i suoi servi a cercarlo, con la dichiarata intenzione di ucciderlo. I suoi servi catturano invece Acete, un giovane marinaio del seguito di Dioniso. Penteo lo interroga sul perché si sia convertito a questo strambo e indecente culto. Acete (che forse è Dioniso stesso travestito) racconta di quando, sull’isola di Chio, i suoi compagni catturarono un ragazzetto barcollante come se fosse ubriaco.
Dioniso e Penteo - La rivelazione del Dio Dioniso
Acete sospettava che quello fosse un dio e incitava i compagni a lasciarlo in pace, ma quelli lo deridevano e lo insultavano. Il ragazzo chiese gentilmente di essere portato a Nasso e i marinai acconsentirono, ridendo sotto i baffi. Acete, al timone, lo stava effettivamente portando lì, ma gli altri presero il comando, dirigendosi altrove. Quando il ragazzo fece presente che quella rotta non era per Nasso, tutti schernirono sia lui che Acete. All’improvviso, la nave si fermò. Gli sforzi dei rematori erano inutili, sui remi si stavano aggrappando dei tralci che pian piano arrivarono fino alle vele. Dioniso ora si stava mostrando nella sua divinità, ornato di pampini e grappoli di uva. I marinai si vedevano attaccati da tigri, linci e ghepardi e, uno ad uno, si trasformarono in mostri e pesci, per poi lanciarsi in mare. Dioniso allora andò a ringraziare Acete e insieme presero finalmente la rotta per Nasso.
Dioniso e Penteo - L'incontro di Penteo con le Menadi (o Baccanti)
Penteo non crede a mezza parola e fa imprigionare Acete, condannandolo a morte. E quando le porte della cella si aprono come per magia e le catene di Acete si spezzano da sole, Penteo, imperterrito miscredente, va sul monte Citerone, luogo predisposto dalle Menadi ai sacri riti di Dioniso. Arrivando al monte, sente urla forsennate e schiamazzi di donne. Trova le Menadi al centro di una radura, impegnate nel rito. La prima a vederlo è sua madre Agave, che in preda ai deliri non lo riconosce. Gli corre incontro e gli sfregia il viso agitando un tirso. Poi, lei stessa chiama le sorelle, zie di Penteo, e tutte insieme si avventano contro di lui, staccandogli le braccia, indemoniate. Agave poi, con una follia montante, gli stacca letteralmente la testa, come se fosse una foglia a malapena attaccata a un ramo e le Menadi, vittoriose, riprendono tranquillamente la loro cerimonia.