IL MITO DI APOLLO E GIACINTO
Il mito di Apollo e Giacinto rientra tra le storie d’amore più tragiche della mitologia greca e romana, facendo compagnia alle leggende di Dafne, Piramo e Tisbe o del girasole. Ma non si tratta solo di una storia di due amanti, perché questa antica leggenda nasconde anche una “curiosità mitica“; con questo termine noi identifichiamo tutte quelle chicche nascoste nei miti che vogliono proporre una spiegazione a qualcosa con cui abbiamo a che fare o che guardiamo tutti i giorni e che diamo inconsapevolmente per scontato, come una pianta o un fiore.
Infatti il mito di Apollo e Giacinto vuole raccontare proprio come sia apparso per la prima volta un bellissimo fiore: il giacinto, che porta questo nome in onore di un fanciullo di Sparta, di cui Apollo si è innamorato follemente semplicemente guardandolo…
Apollo e Giacinto
Talmente innamorato di questo ragazzo, Apollo decide di abbandonare per un tempo insolitamente lungo il suo sacro santuario di Delfi, lasciando che l’oracolo resti muto e privo della sua guida divina. Nessun sacerdote osa disturbare il Dio, poiché è noto che egli si trovi a Sparta, ospite della bellezza mortale che gli ha rubato il cuore. L’amore per Giacinto diventa per Apollo un fuoco dolce e alienante, tanto da fargli quasi dimenticare la sua stessa natura. La musica, che un tempo riempiva i boschi e le valli, tace: la lira giace in un angolo, coperta da un velo di polvere. Anche l’arco, strumento di mille trionfi, resta inutilizzato, appeso alle pareti del suo tempio come un ricordo lontano.

Tutto ciò che prima gli era caro perde di significato: ora il Dio vive solo per trascorrere ogni istante accanto al giovane spartano. Eppure, un’unica passione sopravvive a quell’oblio d’amore: lo sport, simbolo della giovinezza e della forza. Apollo ama insegnare a Giacinto l’arte del lancio del disco, mostrandogli la precisione del gesto, la misura del respiro, la bellezza del movimento perfetto. Così, in un giorno limpido e sereno, quando il cielo sembra riflettere il loro stesso entusiasmo, i due amanti decidono di sfidarsi in una gara amichevole. È un momento di pura gioia, un gioco che unisce il divino e il mortale, ignari del destino tragico che presto li separerà.
Apollo e Giacinto - la sfida fatale
Per prepararsi alla competizione, Apollo e Giacinto si spogliano delle vesti leggere e si ungono il corpo con olio profumato, mentre la brezza di Sparta accarezza i loro volti sorridenti. Sono pronti a sfidarsi non per gloria, ma per il puro piacere di condividere un gioco e nulla sembra poter oscurare la gioia dei due amanti. Ma, invisibile e in agguato, la tragedia è già all’opera. Perché non è solo Apollo ad amare il giovane spartano: anche Zefiro, il Vento dell’Ovest, arde di passione per lui. Tuttavia, il suo amore è oscuro e corrotto dalla gelosia.
Giunge il turno di Apollo. Il Dio impugna il disco e lo solleva con gesto elegante; con un movimento fluido e perfetto scaglia il disco lontano, tracciando un arco lucente nel cielo. Ma proprio allora, Zefiro soffia: un alito di vento improvviso, un soffio carico di infausti sentimenti. Il disco devia la sua traiettoria e, come spinto da un destino crudele, colpisce Giacinto al volto.

Il giovane cade a terra, il sangue rosso scorre sull’erba verde, e Apollo, attonito, corre verso di lui. Lo solleva tra le braccia tremanti, lo chiama per nome, cerca di risvegliarlo. Con mani divine tenta ogni rimedio, invoca le arti della medicina che egli stesso ha insegnato agli uomini, ma la ferita è troppo grave, e neppure il potere di un Dio può mutare il volere del Fato.
La vita di Giacinto scivola via lentamente, come l’ultimo raggio di sole che muore dietro le colline. Apollo, disperato, stringe a sé il corpo del ragazzo, e le sue lacrime si mescolano al sangue dell’amato. È in quell’abbraccio silenzioso che la gioia si spegne, e nasce il dolore eterno del Dio che, pur immortale, conosce la perdita più umana di tutte: quella dell’amore.
Apollo e Giacinto - dal gioco alla metamorfosi

Apollo, inginocchiato accanto al corpo senza vita dell’amato, non riesce a rassegnarsi all’idea che quella bellezza debba svanire per sempre. Le sue lacrime cadono sul sangue del fanciullo, e là dove si mescolano, la terra si risveglia in un prodigio di dolore e rinascita: dal terreno germogliano fiori delicati, di un rosso intenso come la ferita che li ha generati. Sono dei gigli rossi, che prendono quindi il nome di giacinti, in memoria del giovane morto troppo presto.
Si dice che Apollo, incapace di sopportare il silenzio della perdita, abbia voluto lasciare un segno eterno del suo amore. Con la punta delle sue dita divine incide sui petali del nuovo fiore un simbolo: alcuni vi leggono la lettera «Υ», l’iniziale del nome Hyakinthos; altri vi scorgono le lettere «ΑΙ», il grido di dolore che il Dio pronunciò nel momento in cui la vita abbandonava il corpo del suo amato (ai, ai!).
Da allora, il ricordo di Giacinto non svanisce. A Sparta, la sua patria, ogni anno si celebravano le Giacinzie, solenni feste in suo onore.