ARGO PANOPTES
Argo Panoptes è un gigante ed è un bovaro, cioè un pastore, con la particolarità di avere ben cento occhi (oppure quattro, secondo qualche versione meno diffusa), probabilmente sparsi per tutto il suo corpo. In greco “Panoptes” significa “onniveggente”, che tutto vede e infatti ad Argo nulla può sfuggire, perché i suoi occhi riposano due alla volta. A seconda delle testimonianze, è detto figlio di Gea (la Terra), di Argo e Ismene, di Arestore o Ecbaso. La storia di Argo nasconde una curiosità mitica; è il mito sulla coda del pavone, così bella e variopinta proprio grazie agli occhi di Argo! Tutto a inizio quando Zeus mette gli occhi su Io (o Iò), figlia del fiume Inaco…
Il mito sulla coda del pavone
Zeus & Io
Un giorno Io, di ritono a casa, viene attirata da Zeus in un bosco; la fanciulla prova a scappare ma il padre degli Dei le si para davanti e nasconde quanto accade da una fitta nebbia. Intanto Era, dall’alto dell’Olimpo, osserva l’Argolide e, conoscendo il suo pollo, sospetta che quella foschia non sia naturale. Si precipita lì e fa diradare la nebbia. Zeus, che pure conosce la sua polla, ha già fatto sparire la fanciulla, trasformandola in una giovenca. Allora Era, con faccia tosta, chiede al marito di regalarle quel magnifico animale. Zeus sbianca; non cedergliela equivarrebbe ad ammettere il misfatto, mentre consegnargliela sarebbe crudele nei confronti della povera Io. Però decide di dare la malcapitata alla moglie. Per assicurarsi che Zeus non ci riprovi, Era mette la fanciulla sotto la guardia di Argo Panoptes.
L’onniveggente Argo, di giorno lascia Io pascolare, mentre di notte la rinchiude incatenata. La sciagurata vacca si nutre di erba e beve dai fiumi e si spaventa ai suoi stessi muggiti. Un giorno Io si spinge fino alle sponde del fiume Inaco; tracciando dei segni sulla sabbia con gli zoccoli, riesce a farsi riconoscere. Inaco è disperato, anche se pare più preoccupato del fatto che ora la figlia debba sposare un bue piuttosto che della sua trasformazione in una mucca. Vabbè. Argo non ne può più delle lagne di Inaco e da buon pastore, spinge via Io, disperata. Zeus decide di mettere un punto alla questione (eh beh) e manda Ermes ad uccidere Argo Panoptes.
La coda del pavone
Ermes indossa i calzari alati e, cantando e suonando la zampogna, si finge un pastore alla guida di caprette (rubate, ovviamente). Si imbatte “casualmente” in Argo Panoptes che, estasiato dalle melodie, lo invita a sedersi accanto a lui; Ermes non se lo fa ripetere due volte. Rimane tutto il giorno lì, parlando, cantando e suonando nella speranza di far addormentare Argo. Leggermente assonnato, Argo gli chiede dell’invenzione della zampogna e, mentre Ermes racconta, si addormenta. Per non rischiare, Ermes aumenta il sonno con la sua verga e poi, spada alla mano, lo decapita. Per l’uccisione di Argo, Ermes è chiamato Argeifonte. La Dea Era, dispiaciuta per la sorte del suo fedele guardiano, raccoglie tutti gli occhi di Argo e li mette in bella vista sulla coda dell’animale a lei sacro: il pavone. Da quel giorno la magnifica coda del pavone sembra costellata di occhi.

Poi, nera di rabbia come si addice a Zeus, la Dea maledice Io e manda un tafano a causarle tormenti infiniti che la portano a girovagare senza sosta e senza meta. Il suo passaggio durante l’incessante fuga dà il nome ad alcuni luoghi: al mar Ionio, dal suo nome, e al Bosforo, che significa “passaggio della vacca”. Poi infine arriva sul Nilo, dove, esausta, afflitta e angosciata, prega Zeus di mettere fine al suo calvario. Zeus allora implora la moglie che a questo punto, benevola, acconsente ad alzare bandiera bianca e la povera fanciulla riacquista finalmente la sua forma originale. In quelle terre dà alla luce Epafo, figlio di Zeus.