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ATALANTA

Il mito di Atalanta

Lo sapete perché la squadra di calcio bergamasca, l’Atalanta, è conosciuta anche come “la Dea”? Esatto, ha a che fare proprio con la mitologia greca ed è una delle tante “curiosità mitiche“. Con questo termine a noi piace indicare quelle chicche nascoste all’interno di miti e leggende e che hanno un legame con cose della nostra quotidianità e che, quando le scopri, resti a bocca aperta, perché non ci avresti mai pensato. Ebbene, l’Atalanta prende il nome dal personaggio della mitologia greca, anche se Atalanta non è proprio una Dea, ma piuttosto un’eroina, in grado di correre veloce come il vento. Fatta questa doverosa premessa, veniamo al mito di Atalanta.

La velocissima eroina cacciatrice

Il mito racconta che Atalanta, figlia di Climene (non l’oceanina) e di Iaso – o Schenèo, a seconda della versione – ancora bambina, viene abbandonata dal padre che purtroppo voleva solo figli maschi. Un’orsa si ferma spesso ad allattare la piccola, che riesce così a sopravvivere finché una famiglia di cacciatori non la trova e decide di adottarla. La bella Atalanta diventa così una abilissima cacciatrice. Una volta cresciuta, chiede un responso sul suo matrimonio ad un oracolo, che le dice che lei non ha bisogno di un marito, tuttavia ella si sposerà e non sarà più “la stessa“.

La piccola Atalanta accudita dall'orsa
La piccola Atalanta accudita dall'orsa

Atalanta decide quindi fermamente di restare vergine, come la Dea Artemide, e se ne va sempre in solitaria a cacciare per i boschi. Ma un giorno, due centauri – Reco e Ileo – cercano di violentarla ma lei è perfettamente in grado di difendere se stessa e li fa fuori entrambi con arco e frecce. Easy. Oltre che nella caccia, Atalanta è fenomenale nella corsa: si diceva fosse più veloce di qualsiasi uomo e che batterla fosse impossibile. Le sue doti le danno la possibilità di prendere parte alla famosa caccia del cinghiale di Calidone e ai giochi in onore del re Pelia, dove sconfigge addirittura Peleo.

L'imposizione del matrimonio ad Atalanta

immagine di Atalanta, l'eroina della mitologia greca
Atalanta

Più tardi scopre chi sono i suoi veri genitori; riunitasi al padre (che a seconda della versione è Iaso o Schenèo), quello le impone di sposarsi. Lei ovviamente non ne vuole sapere, memore della profezia, e così pianifica un modo per scoraggiare i pretendenti: qualsiasi uomo voglia averla deve battersi con lei nella corsa. Se lui vince, lei è sua, ma se lui perde, la pena è la morte. Ciononostante, sono in tanti a chiedere la sua mano e neanche a dirlo, Atalante fa una strage, finché non arriva Ippomene a sfidarla (o Melanione, a seconda della fonte), pronipote di Poseidone.

Ippomene stava osservando Atalanta nel susseguirsi delle sfide e più la guardava, più se ne innamorava e più sperava che nessuno riuscisse a batterla. Insomma, Ippomene desidera talmente tanto la cacciatrice che ormai non ragiona più e decide di sfidarla anche lui. Impavido, si avvicina ad Atalanta per dirle di non vantarsi ancora, perché finora ha gareggiato con gente non degna, lui invece ha discendenza divina e un Dio lo assisterà. E aggiunge che se lei dovesse batterlo, questo si che potrà essere un vero motivo di vanto.

Atalanta resta colpita sia dal coraggio che dalla bellezza di Ippomene e, per la prima volta in vita sua, si sente scaldare dall’amore. Addirittura crede che se mai volesse sposarsi, sarebbe proprio lui che vorrebbe al suo fianco. Quasi quasi ella spera che il bel giovane rinunci alla gara, sia per non vederlo morire qualora lei vinca, sia per non sottoporlo al triste destino che la aspetta se dovesse sposarsi.

La gara con Ippomene

La gara tra i due sta per iniziare e Ippomene chiede aiuto ad Afrodite. Quale tra gli Dei può dargli più retta della Dea dell’amore, nelle condizioni in cui egli si trova? Afrodite infatti, invisibile a tutti tranne che a lui, gli dà tre mele d’oro, spiegandogli cosa farci. La sfida tra i due finalmente comincia e all’occhio attento di Afrodite è subito evidente che Atalanta a tratti rallenta, forse indecisa tra la gloria e l’amore, ma poi riprende il suo passo deciso, allungando le distanze. La cacciatrice è davvero velocissima, quindi Ippomene sfrutta l’aiuto della Dea: fa cadere una delle mele che, rotolando, sorpassa Atalanta.

L’attenzione della fanciulla viene catturata dal pomo dorato, tanto da farla fermare per raccoglierla; e così, il suo pretendente riesce a superarla, ma la velocissima vergine recupera in men che non si dica e lo sorpassa. Allora Ippomene ripete lo stesso giochino, guadagnando di nuovo un po’ di terreno, ma la veloce cacciatrice torna presto in vantaggio. Manca ormai poco al traguardo e Ippomene lancia l’ultima mela, stavolta assicurandosi che vada un po’ più lontano. Atalanta, seppur indecisa ma prontamente spinta da Afrodite, va a raccoglierla e la Dea rende il frutto anche più pesante. Ippomene vince, un pò imbrogliando, sì; i due quindi si uniscono in matrimonio

La gara tra l'eroina Atalanta e Ippomene
Atalanta e Ippomene

Il destino di Atalanta

Ippomene però fa un terribile errore: dopo tutto ciò, si dimentica di ringraziare Afrodite. Non le rende nessun omaggio e non le offre nessun sacrificio e la Dea non la prende bene. Così un giorno, mentre i novelli sposi passeggiano felici nei pressi di un tempio di Rea, Afrodite infonde in Ippomene una improvvisa voglia di… ehm, insomma, avete capito. La Dea quindi spinge i due a entrare nel tempio, incastrandoli nella profanazione dello stesso.

La madre Rea – che i romani chiamavano Cibele – indignata, vorrebbe affogare i due nel fiume Stige ma ecco come invece li punisce: sul collo di entrambi spuntano due criniere, al posto delle dita si ritrovano degli artigli, le braccia si trasformano in zampe e infine gli cresce anche una coda. Sono stati trasformati in due leoni, che dal quel momento accompagnano il carro della madre Rea.

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