IL MITO DI ECO E NARCISO
Chi è Eco e chi è Narciso
Il mito di Eco e Narciso è uno dei più famosi della mitologia greca e romana e fa parte di quelle che noi chiamiamo “curiosità mitiche“. Infatti questa bellissima storia, seppur tragica, nasconde la spiegazione sull’origine del fenomeno dell’eco e del fiore narciso, due elementi naturali che, secondo gli antichi, non potevano che avere un’origine divina. Ma non solo: il termine narcisista si utilizza proprio grazie al mito di Eco e Narciso e, alla fine del racconto, comprenderete perché. I protagonisti della leggenda sono, naturalmente, Eco e Narciso. Ma chi è Eco? E chi è Narciso? Eco è una ninfa delle montagne, mentre Narciso è un giovinetto bellissimo, figlio del fiume Cefìso e della ninfa Lirìope.
La storia si apre con la madre di Narciso, Lirìope, che alla nascita del bambino chiede un responso all’indovino Tiresia, per sapere se suo figlio vivrà a lungo. Il sapiente Tiresia risponde che sì, Narciso avrà vita lunga, a patto che egli “non veda mai se stesso“. Come qualsiasi responso di oracoli e indovini, è abbastanza vago e per un po’ nessuno ci pensa più. Narciso quindi cresce tranquillo, rubando cuori per il suo fascino; ma pur essendo bellissimo e avendo migliaia di pretendenti, ripudia sempre l’amore. Non ama nessuno e da nessuno vuole farsi amare.
Per quanto riguarda invece la ninfa Eco, ella è caduta vittima delle vendette di Era (come tante donne) scatenate dalle scappatelle del marito, Zeus. Infatti, più di una volta la ninfa l’aveva intrattenuta con frivole chiacchiere solo per distrarla mentre Zeus si crogiolava nei letti delle altre ninfe. E così Era, scoperta la cosa, impartisce una lezione ad Eco, non consentendole più di usare la parola come strumento di manipolazione: da donna loquace qual era, ora Eco può solo ripetere le ultime parole di ciò che sente.
Le vite di Eco e Narciso ben presto si incrociano; un bel giorno, tra i monti, Eco resta particolarmente colpita da un giovane che sta cacciando cervi e, come tanti ragazzi e ragazze, se ne innamora all’istante. Ovviamente, si tratta di Narciso.
Il mito di Eco e Narciso: l'amore di Eco per Narciso

Non potendo però parlargli per prima, a causa della condizione per cui può solo ripetere le ultime parole che qualcuno le rivolge, lo segue da lontano, nascosta tra gli alberi e le rocce, osservandolo con un misto di ammirazione e struggimento. Giorno dopo giorno, la giovane ninfa consuma se stessa nel desiderio di essere notata, senza mai trovare il coraggio – o la possibilità – di rivelarsi davvero. Un giorno, mentre Narciso vaga nei boschi, forse disturbato da un fruscio tra le foglie o dal suono dei passi di Eco, si ferma e domanda ad alta voce: «C’è qualcuno?».
È il momento che lei attendeva da tempo: il suo cuore balza nel petto e, con voce tremante ma piena di speranza, risponde: «Qualcuno». Narciso, stupito, si guarda intorno cercando la provenienza di quella voce misteriosa e continua a parlare, ma ogni sua parola gli torna indietro, ripetuta con dolcezza, quasi fosse un’eco della sua stessa anima. Confuso ma incuriosito, il giovane pronuncia infine: «Uniamoci!», desideroso solo di scoprire chi lo stesse imitando. Eco, però, interpreta quelle parole come un invito d’amore. Ripetendo «uniamoci», si lancia verso di lui con le braccia aperte, pronta ad abbracciarlo e a coronare il suo sogno.
Il rifiuto di Narciso e la nascita dell'eco
Narciso, colto di sorpresa e infastidito, la respinge con durezza. Il suo sguardo, freddo e superbo, non mostra alcuna pietà e infine, le dice che morirebbe piuttosto che concedersi a lei. Quella frase tagliente come una lama ferisce Eco nel profondo, segnando per sempre il destino della povera ninfa. Eco, sopraffatta dall’imbarazzo e dal dolore per il rifiuto di Narciso, desidera scomparire. Vergognandosi della propria audacia e incapace di sopportare la ferita dell’umiliazione, fugge tra i boschi.
Consumata dalle pene d’amore, Eco smette di mangiare e di dormire: il suo corpo si assottiglia giorno dopo giorno, fino a diventare un’ombra evanescente. La carne svanisce, le ossa si dissolvono, e ciò che resta di lei è soltanto una voce sottile, sospesa nell’aria tra i monti. E ancora oggi, quando qualcuno parla o grida in quelle vallate, la voce invisibile di Eco risponde, restituendo le ultime parole, come se la ninfa fosse ancora lì, nascosta tra le rocce, a ricordarci la sua storia e il suo dolore immortale.
Il mito di Eco e Narciso: l'amore di Narciso per se stesso
Nel frattempo, Narciso continua a vivere ignaro del dolore che lascia dietro di sé. Ovunque passi, spezza cuori e infrange speranze: ninfe, ragazzi e fanciulle restano affascinati dal suo volto perfetto e dai modi eleganti, ma il giovane, del tutto indifferente all’amore, non prova mai alcun sentimento per nessuno. È come se il suo cuore fosse di pietra, incapace di percepire la dolcezza o la sofferenza altrui. Un giorno, però, uno dei molti innamorati respinti, ferito dal suo disprezzo, alza lo sguardo al cielo e pronuncia una maledizione: che Narciso possa un giorno provare lo stesso tormento che infligge agli altri: innamorarsi e non essere ricambiato.
Le parole del giovane non restano inascoltate. Nemesi, la dea della Vendetta e della Giustizia distributiva, le raccoglie e decide di punire l’arroganza del bellissimo ragazzo. Non molto tempo dopo, durante una delle sue consuete battute di caccia, Narciso si ferma presso una fonte d’acqua limpida e silenziosa. Assetato e stanco, si china per bere, ma nell’acqua immobile qualcosa cattura la sua attenzione: un volto, perfetto, luminoso, dagli occhi profondi e affascinanti. È il suo stesso riflesso, ma Narciso non lo sa (non chiedete come sia possibile). Rimane incantato, come se di fronte a lui ci fosse una creatura divina. Il suo cuore, che fino ad allora era rimasto freddo, si accende per la prima volta di una passione travolgente.
Innamorato perdutamente di quella figura che crede viva, Narciso le parla con dolcezza, le sussurra parole d’amore e tenta di sfiorarla con le mani, ma ogni volta che si avvicina l’immagine si dissolve, confondendosi con l’acqua increspata. Tenta di abbracciarla, di afferrarla, ma ciò che tocca è soltanto il vuoto. L’illusione dell’amato svanisce e riappare, e il giovane, ancora incapace di comprendere che si tratta del proprio riflesso, resta prigioniero di quel miraggio, desiderando ciò che non può avere. Narciso è confuso (come prima, non fate domande), eppure non riesce a distogliere gli occhi colmi di stupore da quella figura.

Ormai non sente più la fame, la sete o la stanchezza: tutto ciò che esiste, per lui, è quel volto che gli sorride e lo osserva con la stessa dolcezza. Ogni gesto dell’altro sembra un segno di complicità, ogni sguardo un invito. Ma quando tende le mani per toccarlo, l’acqua si increspa e la figura scompare per un istante, lasciandolo smarrito e ferito. Narciso soffre, perché crede di essere amato — o almeno così sembra — ma non riesce a comprendere perché l’amato non si lasci mai sfiorare. Perché? Cosa ha fatto per meritare tanto sdegno? È un dolore sottile e struggente, quello di chi desidera ciò che è vicino ma irraggiungibile.
Poi, improvvisamente, un lampo di consapevolezza gli attraversa la mente: quell’essere perfetto, quello sguardo che tanto lo ha stregato… è il suo stesso riflesso! Che volpe, Narciso. In un istante, la verità lo travolge come una maledizione. Narciso comprende che l’amore che lo consuma non è rivolto a nessun altro se non sé stesso. E questa scoperta, anziché liberarlo, lo condanna: ora desidera separarsi dal proprio corpo, uscire da sé per potersi amare davvero. Ma è impossibile. E così resta lì, prigioniero del proprio volto, vittima della sua stessa bellezza.
La morte di Narciso
Quando finalmente comprende che non potrà mai curare né colmare il suo amore impossibile, Narciso cede. L’incanto che lo aveva tenuto legato all’acqua si trasforma lentamente in tormento. Non riesce in nessun modo a distogliere lo sguardo da quell’immagine che lo imprigiona, e così, giorno dopo giorno, si consuma, come una fiamma che arde senza nutrimento. La fame, la sete, la vita stessa perdono significato: ciò che rimane è soltanto un desiderio che lo divora dall’interno. Il giovane, un tempo superbo e distante, ora è vittima del proprio cuore, incapace di salvarsi da sé stesso.
Eco, che non ha mai smesso di amarlo, assiste da lontano al suo destino con struggente dolore. Quando infine Narciso muore, la ninfa e le altre creature dei boschi — le Naiadi e le Driadi — si avvicinano alla riva per rendere omaggio al corpo del giovane. Lo adagiano su una pira funebre e piangono per lui, mentre le fiamme ne consumano lentamente la bellezza. Quando il fuoco si spegne e le ceneri si disperdono, tutto ciò che rimane sul terreno è un magnifico fiore mai visto prima, dai petali bianchi e dal cuore giallo: è il Narciso.
Il mito di Eco e Narciso, raccontato nelle metamorfosi di Ovidio, è stato oggetto del bellissimo dipinto di John William Waterhouse.
